Si è volutamente rispettata anche la forma di presentazione del quesito perché da essa trapelano il
pathos e, nel contempo, il disagio del sindaco rispetto ad una problematica singolare, ma non esente
da complessità , che in ultima analisi rimanda ai diritti di cittadinanza ed al buon andamento della
comunità locale.
Ai sensi del Codice civile Libro Primo “Delle persone e della famiglia”, Titolo III “Del domicilio e
della residenza” art. 43 -2° comma la residenza è nel luogo di abituale dimora ossia nel luogo ove
abitualmente si esplica la vita familiare e sociale di un soggetto.
I principali riferimenti normativi a tutela del diritto alla residenza hanno addirittura rango
costituzionale, infatti la Repubblica Italiana, nella sua Carta Costituzionale prevede all’art. 3
che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali e che
sia compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Mentre all’ art. 16 stabilisce che ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi
parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di
sanità o di sicurezza.
Con il D.P.R. del 30 maggio 1989, n.223
“Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente” è stato novellato
l’istituto dell’Anagrafe della popolazione residente, definito come la raccolta sistematica dell’insieme
delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel Comune la residenza, nonché delle posizioni
relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel Comune il proprio domicilio (art. 1
comma 1) e disciplinate, rispettivamente agli art. 7 e 11 le iscrizioni e le cancellazioni anagrafiche.
Al riguardo si ricorda che:
l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente viene effettuata:
a) per nascita;
b) per esistenza giudizialmente dichiarata;
c) per trasferimento di residenza da altro Comune.
La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente viene effettuata:
a) per morte, compresa la morte presunta giudizialmente dichiarata;
b) per trasferimento della residenza in altro Comune o all’estero, nonché per trasferimento del
domicilio in altro Comune per le persone senza fissa dimora;
c) per irreperibilità accertata a seguito delle risultanze delle operazioni del censimento generale
della popolazione, ovvero, quando, a seguito di ripetuti accertamenti, opportunamente intervallati,
la persona sia risultata irreperibile.
Poiché il problema dell’iscrizione anagrafica in situazioni fuori dall’ordinario periodicamente, si
ripropone nelle varie realtà locali il Ministero dell’Interno – con la
Circolare 29 maggio 1995, n.8
ha dettato “Precisazioni sull’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente di cittadini
italiani”.
Si ritiene opportuno riportare alcuni stralci della suddetta circolare (e della successiva del gennaio
1997) perché in esse si affronta una fattispecie analoga al quesito posto dal Comune istante
fornendo chiarimenti e indirizzi.
”In relazione a recenti notizie, riportate con evidenza dagli organi di stampa, circa il
comportamento seguito da un’amministrazione comunale nell’esaminare le richieste di iscrizione
anagrafica avanzate da cittadini italiani, questo Ministero, nell’ambito delle proprie competenze
istituzionali, ritiene necessario effettuare alcune puntualizzazioni sulla tematica in questione,
affinché da parte dei sindaci venga adottata una linea di condotta uniforme su tutto il territorio
nazionale evitando, così, le discriminazioni a danno dei cittadini da comune a comune.
Pertanto il sindaco quale ufficiale di anagrafe e di Governo, nell’esaminare le domande di
iscrizione anagrafica presentate dai cittadini italiani, deve osservare scrupolosamente la
legislazione vigente. Orbene, dall’esame di detta normativa si evince che la richiesta di iscrizione
anagrafica, che costituisce un diritto soggettivo del cittadino, non appare vincolata ad alcuna
condizione, né potrebbe essere il contrario, in quanto in tal modo si verrebbe a limitare la libertà di
spostamento e di stabilimento dei cittadini sul territorio nazionale in palese violazione dell’art. 16
della Carta costituzionale.
Alla luce delle suesposte considerazioni appaiono pertanto contrarie alla legge e lesive dei diritti
dei cittadini quei comportamenti adottati da alcune amministrazioni comunali che, nell’esaminare
le richieste di iscrizione anagrafica, chiedono una documentazione comprovante lo svolgimento di
una attività lavorativa nel territorio comunale, ovvero la disponibilità di un’abitazione, e magari,
nel caso di persone coniugate, la contemporanea iscrizione di tutti i componenti il nucleo familiare,
ovvero procedono all’accertamento dell’eventuale esistenza di precedenti penali a carico del
richiedente l’iscrizione.
Nel rammentare che il concetto di residenza, come affermato da costante giurisprudenza e da
ultimo dal tribunale amministrativo regionale del Piemonte con sentenza depositata il 24 giugno
1991, è fondato sulla dimora abituale del soggetto sul territorio comunale, cioè dall’elemento
obiettivo della permanenza in tale luogo e soggettivo dell’intenzione di avervi stabile dimora,
rilevata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali, occorre sottolineare
che non può essere di ostacolo alla iscrizione anagrafica la natura dell’alloggio, quale ad esempio
un fabbricato privo di licenza di abitabilità ovvero non conforme a prescrizioni urbanistiche,
grotte, alloggi in roulottes.
Con la successiva Circolare 15 gennaio 1997, n° 2 rubricata “Anagrafe della popolazione
residente -iscrizione -apposizione di condizioni – inammissibilità “lo stesso Ministero dell’Interno
(allora a titolarità dell’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) torna
sull’argomento, rivolgendosi ai Prefetti:
”Con precedente circolare MIACEL n. 8 del 29 maggio 1995,
questo Ministero ha diramato precise disposizioni sulla puntuale ed esatta gestione dell’anagrafe da parte di signori sindaci,
nella loro qualità di ufficiali di Governo, richiamando l’attenzione degli stessi sulle conseguenze,
non solo di ordine penale ma anche amministrative, cui può dare luogo, la creazione di
impedimenti, non previsti da norme legislative, all’iscrizione in anagrafe.
Il particolare veniva sottolineato che l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente dei
cittadini italiani, non è sottoposta ad alcuna condizione, come si evince chiaramente non solo dalla
legge 24 dicembre 1954, n. 1228
e dal successivo decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 1989, n. 223, ma altresì dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione.
Unico requisito, è la corrispondenza che deve intercorrere tra la situazione di fatto e quanto
dichiarato dall’interessato……
Ciò premesso, atteso il ripetersi di tali inammissibili episodi,… si invitano le SS.LL. ad effettuare la
più accurata sorveglianza sulla gestione delle anagrafi da parte di signori sindaci, procedendo, se
del caso, ad adottare tutti qui provvedimenti a tutela della dignità della persona, non esclusa la
segnalazione all’autorità giudiziaria.”
La giurisprudenza ha costantemente inteso distinguere nell'ambito del concetto di residenza un
elemento oggettivo, costituito dalla stabile permanenza in un luogo, ed un elemento soggettivo,
costituito dalla volontà di rimanervi (si vedano ad esempio le sentenze della Cassazione: Sez. I del
21 giugno 1955 n.1925, Sez. I del 17 ottobre 1955 n.3226, Sez. II del 17 gennaio 1972 n.126, del 5
febbraio 1985 ,n.791, Sez. II del 14 marzo 1986, n. 1738).
Tale soggettività deve essere un elemento "rivelato dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento
delle normali relazioni sociali" ( Cass., Sez II,14 marzo 1986 n.1738) cioè deve essere reso
conoscibile ai consociati attraverso la condotta del soggetto.
Quindi ne deriva che la residenza è comunque una situazione di fatto, alla quale deve
tendenzialmente corrispondere una situazione di diritto contenuta nelle risultanze anagrafiche.
La richiesta di residenza non può quindi essere vincolata ad alcuna condizione e tantomeno può
essere limitata la libertà di spostamento dei cittadini e la scelta di stabilirsi sul territorio dove
desiderano, pena la violazione dell'art. 16 della Costituzione.
L'unico requisito è la corrispondenza che deve intercorrere tra la situazione di fatto e quanto
dichiarato dall'interessato rispetto al suo luogo di dimora abituale.
L'iscrizione anagrafica non è infatti legata all'unità immobiliare ma all'effettività della dimora
abituale in quel luogo ossia alla realtà abitativa familiare. Pertanto i comportamenti rivolti ad
ulteriori verifiche al di là della dimora abituale si configurano quali aggravanti del procedimento
amministrativo e passibili di denuncia da parte del cittadino. Si ribadisce che attualmente non
possono essere da ostacolo alla iscrizione anagrafica la natura dell'alloggio quale ad esempio il
fabbricato non conforme alle prescrizioni urbanistiche, la grotta, la roulotte o la baracca di legno.
Il secondo comma dell'art.4 della Legge anagrafica
(Legge 24 dicembre 1954, n.1228) impone
all'Ufficiale d'anagrafe di ordinare gli accertamenti necessari ad appurare la verità dei fatti
denunciati dagli interessati. Si desume chiaramente che il potere-dovere dell'Ufficiale d'anagrafe è
quello di disporre gli accertamenti per effetto dell'avvenuta presentazione di una dichiarazione
dell'interessato diretti proprio a verificare la corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto attuato
nella realtà dei fatti.
Avere la residenza anagrafica (cioè essere registrati negli archivi della popolazione del Comune) là
dove realmente si vive è un diritto della persona (anche se è un "senza tetto", cioè senza una casa
"normale", che sia giuridicamente utilizzabile come civile abitazione). Si tratta di un diritto che ne
innesca molti altri: il diritto alle cure del servizio sanitario nazionale, al rilascio della carta di
identità, il diritto all'assistenza sociale, l'iscrizione alle liste per l'assegnazione degli alloggi di
edilizia residenziale pubblica, il diritto di voto in una serie di elezioni politiche e amministrative
(quest'ultimo solo per i cittadini italiani o comunitari). Non solo i "senza tetto", ma anche le persone
senza fissa dimora hanno diritto ad avere una residenza anagrafica. La legge impone ai comuni di
iscrivere all'anagrafe sia i "senza tetto" che i "senza fissa dimora". La residenza è infatti un diritto
fondamentale di libertà (quello di scegliere il luogo dove vivere) e un tratto irrinunciabile della
personalità (ciascuno, infatti, appartiene ad una comunità ed ha diritto a risultarne membro.
Si sono portate in rassegna le disposizioni di legge, a partire da quelle di rango costituzionale, sino
alle circolari del Ministero dell’Interno, per sottolineare, tra l’altro, come il sindaco sia in rapporto
di dipendenza gerarchica impropria nell’esercizio delle funzioni di Ufficiale di Governo e come
tale sottoposto al controllo prefettizio, risultando comunque inserito, ancorché per via funzionale,
nell’ambito delle strutture che fanno capo al Ministero dell’Interno, il quale esercita la tutela e
garantisce l’unità di indirizzo nella materie di competenza dello Stato.
Da questa prima disamina della normativa in materia, condotta sul versante delle attribuzioni del
sindaco nei servizi di competenza statale, ne consegue con chiarezza che non sussistono ragioni per
allontanare i cittadini camperisti e che l’Ufficio Comunale ha operato correttamente nel rilasciare
loro la residenza.
Neanche il Codice della Strada (C.d.S.) approvato con il D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 riesce a
fornire qualsivoglia appiglio per l’”allontanamento “perorato dal sindaco istante.
Il “camper”, ovvero con dicitura tecnica, l’autocaravan secondo la definizione del Codice, è
qualificato come autoveicolo avente una speciale carrozzeria ed attrezzato permanentemente per
essere adibito al trasporto e all’alloggio di sette persone al massimo, compreso il conducente (art.
54 c. 1 lett. m) del C.d.S.).
Ai fini della circolazione stradale in genere e agli effetti dei divieti di cui agli artt. 6 e 7 del Codice,
gli autocaravan sono soggetti alla stessa disciplina prevista per gli altri veicoli (art. 185 c. 1).
La loro sosta, ove consentita, non costituisce campeggio, attendamento e simili se essi poggiano sul
suolo esclusivamente con le ruote, non emettono deflussi propri e non occupano la sede stradale in
misura eccedente il proprio ingombro (art. 185 c. 2).
E’ vietato lo scarico di residui organici e di acque chiare e luride su strade e aree pubbliche, al di
fuori di appositi impianti di smaltimento igienico-sanitario (art. 185 c. 4).
Il divieto di sosta per soli autocaravan può essere previsto dalle amministrazioni locali solo qualora
il provvedimento escluda dalla sosta anche tutti gli altri veicoli con analoghe caratteristiche
dimensionali e di massa e solo se legittimato da oggettive situazioni d’intransitabilità.
Si ha campeggio, attendamento o simili, ogni qualvolta non si rientri nelle condizioni di sosta come
sopra previste. Ciò significa, ad esempio, che l’aver appoggiato uno scalino per terra, che permetta
un più agevole accesso all’autocaravan, integra già un’ipotesi di campeggio e non di sosta.
Considerato che campeggiare esula dalla semplice circolazione dei veicoli, è prevista per gli enti
territoriali, proprietari delle strade, la facoltà di limitare tale possibilità ad aree attrezzate
adeguatamente allo scopo.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Dipartimento per i Trasporti Terrestri Direzione
Generale della Motorizzazione ha più volte chiarito con apposite direttive ai sensi dell’art. 35
comma 1 del Codice della Strada le linee guida in materia di circolazione e sosta delle autocaravan.
Ma è ancora il Ministero dell’Interno -Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali-Direzione
Centrale per l’Amministrazione Generale e per gli Uffici Territoriali di Governo-Direzione
Generale UTG, a diramare la circolare prot. 277 in data 14/01/2008 rubricata, per l’appunto:
“Direttiva del Ministero dei Trasporti ai sensi dell’art. 35 comma 1 del Codice della Strada. Linee
guida in materia di circolazione e sosta delle autocaravan.“ rivolta ai Sindaci affinché ne tengano
conto nell’esercizio delle relative competenze.
Qui si argomenta nel modo seguente :
<…La limitazione alla circolazione stradale e alla sosta per la particolare categoria di veicoli in
esame appare illegittima nel caso di autocaravan che poggino sulla sede stradale con le proprie
ruote, senza emettere deflussi propri e che non occupino la sede stradale nella misura eccedente il
proprio ingombro, in assenza di ostacoli atti a giustificarli.
Già con la Legge 336/91 il legislatore era intervenuto, per evitare gli annosi contenziosi tra i
proprietari dell’autoveicolo atucaravan e Pubblici Amministratori, con una ratio semplice e chiara,
portatrice di una serie di innovazioni identificabili, almeno, nei seguenti punti fondamentali:
• la conferma che le autocaravan sono autoveicoli e sono parificati a tutti gli altri autoveicoli;
• la netta distinzione tra il “sostare” e il “campeggiare”;
• l’obbligo all’allestimento di impianti igienico-sanitari su strade, autostrade e campeggi al fine di
tutelare l’igiene pubblica del territorio, raccogliendo i residui organici e le acque chiare e luride
raccolti negli impianti interni delle autocaravan.
• la possibilità per il Comune di prevedere l’allestimento di aree attrezzate riservate alla sosta e al
parcheggio delle autocaravan, al fine di sviluppare il turismo itinerante praticato con detti
autoveicoli. Un intervento, pertanto, complessivamente teso a promuovere e non ad impedire la
circolazione alle autocaravan. Tali principi, contenuti nella Legge sopraccitata, sono stati in toto
recepiti nel Nuovo Codice della Strada…>
La circolare passa poi ad analizzare nel dettaglio alcune fattispecie concrete che hanno dato luogo
ad ordinanze dei pubblici amministratori che prestano il fianco a rilievi critici, soffermandosi in
particolare sul divieto di circolazione per motivi di ordine e sicurezza pubblica e sui presunti abusi
di carattere igienico-sanitario.
Il concetto di ordine pubblico che, com’è noto, trova riscontro in sede legislativa nell’art. 159
comma 2 del D.Lgs. 112/98 è “inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli
interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale
Il Ministero dei Trasporti fa rilevare che il concetto di sicurezza pubblica è più ristretto riferendosi
alla salvaguardia della incolumità e integrità fisica, patrimoniale e morale dei cittadini.
Sarebbero, pertanto, viziati da illegittimità sotto il profilo dell’eccesso di tutela quei provvedimenti
che richiamassero in situazioni non rispondenti al reale stato dei fatti o comunque in modo
generico esigenze di “tutela dell’ordine, della sicurezza e dalla quiete pubblica”.
In altri casi viene vietata la sosta e la circolazione alle autocaravan sulla base di un’ordinanza
motivata dalla necessità di salvaguardare l’immagine e, soprattutto, l’igiene e la sanità pubblica.
Il Pubblico Amministratore giustifica il proprio provvedimento sostenendo che il suo obiettivo è
solo quello di frenare “... abusi di carattere igienico-sanitario connessi allo scarico d'acque nere e
bianche sulla pubblica via ...”, ovvero di “....prevenire qualsivoglia pericolo di infezioni virali o di
malattie infettive, la cui insorgenza può verificarsi per l’incontrollato e disordinato deposito di
liquami e materie organiche oltre che dei rifiuti solidi ...”.
Si osserva, tuttavia, che spesso le ordinanze contingibili e urgenti motivate sulla base dell’esigenza
di tutela dell’igiene pubblica, stante la genericità delle espressioni usate e l’assenza di qualsivoglia
altro elemento indicatore, limitano la circolazione delle autocaravan sulla base di motivi che non
sono certo riconducibili alle affermate esigenze di prevenzione degli inquinamenti.
D’altronde, le autocaravan, per il loro allestimento, che comprende serbatoi di raccolta delle
acque inerenti cucina e bagno, sempre che siano debitamente ed idoneamente utilizzate, sono
veicoli di per sé non idonei a mettere in pericolo l’igiene pubblica.
Del resto i cittadini in questione stanno campeggiando in un’area sottratta all’uso pubblico, di cui,
addirittura, uno di loro risulta titolare del diritto di proprietà. L’area risulta attrezzata di
allacciamenti ad acqua, luce e fognatura. Quest’ultimo servizio, come si è visto, risulta essenziale
per lo scarico di residui organici e di acque chiare e luride raccolte negli impianti interni delle
autocaravan da convogliare agli impianti di smaltimento igienico-sanitario, che, si presume,
avvenga secondo criteri di buona tecnica.
Qui occorre ancora precisare non ci si trova dinnanzi ad un vero e proprio campeggio, cioè ad una
struttura e ad un esercizio ricettivo destinato al pubblico e disciplinato dalla normativa sui
campeggi.
L’art. 16 della legge regionale del Piemonte 31/08/1979, n. 54 e s.m.i. recante, per l’appunto, la
disciplina dei complessi ricettivi all'aperto al 4° comma prevede che:
”In deroga alle norme di cui alla presente legge e'consentito l'insediamento di un massimo di 3
tende o caravan presso aziende agricole che forniscano i servizi essenziali, dandone semplice
comunicazione al Comune. Il Comune può, in relazione ad esigenze locali, autorizzare l'elevazione
del numero di tende o caravan ad un massimo di 10 richiedendo in tal caso che vengano assicurati
l'approvvigionamento idrico e i servizi igienici e lo smaltimento dei rifiuti.
Il comma 5, peraltro, dispone che le prescrizioni della legge non si applichino per gli allestimenti
ricettivi all'aperto che non presentino le caratteristiche di pubblico esercizio, dovendosi tali
allestimenti assoggettare alla normativa vigente in materia edilizio-residenziale.
Restano quindi da esaminare gli aspetti attinenti l’edilizia.
L’art. 54 della legge regionale 5/12/19977, n, 56 rubricato “Concessioni per costruzioni
temporanee e campeggi” prevede che “non e'ammessa la realizzazione di costruzioni temporanee
o precarie ad uso di abitazione e di campeggio o la predisposizione di aree per l'impiego
continuativo di mezzi di qualsiasi genere, roulottes e case mobili, se non nelle aree destinate dai
Piani Regolatori Generali a tale scopo, con le norme in esso espressamente previste, e previa
concessione con la corresponsione di un contributo adeguato all'incidenza delle opere di
urbanizzazione dirette e indotte, da computare in base ai disposti della legge 28 gennaio 1977, n.
10”.
L’art. 56 della suddetta legge (Interventi soggetti ad autorizzazione) dispone che “sono soggetti ad
autorizzazione i seguenti interventi:
…omissis…
d) la sosta prolungata di veicoli o rimorchi attrezzati per il pernottamento, e di attendamenti, fatta
eccezione per quelli che avvengano in apposite aree attrezzate.
Successivamente è sopravvenuto il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.i. recante il “testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, che
all’art. 3 ”Definizioni degli interventi edilizi“ comma 1 lettera e 5) recita : “Ai fini del
presente testo unico si intendono per: e) "interventi di nuova costruzione", quelli di
trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite
alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali: …… e5) l’installazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes,
campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro,
oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee;”
e all’art. 10 (“Interventi subordinati a permesso di costruire” stabilisce che
”Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono
subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione;..”
Al riguardo si segnala la sentenza n. 4974 della Corte di Cassazione Penale Sez. III, 31/01/2008
(Ud.17/12/2007), laddove si sostiene, addirittura, la configurabilità in lottizzazione abusiva della
trasformazione di strutture mobili (camper e roulottes) in vere e proprie unità abitative permanenti.
<La trasformazione di strutture mobili (camper e roulotte) in vere e proprie unità abitative
permanenti può far ravvisare in concreto una condotta lottizzatoria (in specie quando l'attività di
campeggio assuma dimensioni consistenti e si componga anche di edifici di servizio che denotano
una stabilità di realizzazione e producono un impatto rilevante sul territorio). Sicché, costituiscono
lottizzazione quegli interventi che mutano le caratteristiche dell'insediamento e/o del territorio in
misura tale da far sorgere una non prevista esigenza di misure di urbanizzazione oppure da
richiedere misure di urbanizzazione di entità maggiore o diversa rispetto a quelle previste.
Si configura il “fumus” del reato di lottizzazione abusiva (e conseguente provvedimento di
sequestro preventivo) laddove una struttura adibita a campeggio, sia pure debitamente autorizzata,
venga radicalmente mutata, per effetto di opere edilizie non autorizzate e di roulotte posizionate
stabilmente a terra e, dunque, non più agevolmente trasportabili, in uno stabile insediamento
abitativo di rilevante impatto negativo sull’assetto territoriale. In questa prospettiva un insieme di
interventi che snaturino le caratteristiche originarie di un campeggio, per quanto esso sia
debitamente autorizzato, possano in linea di principio comportare, se complessivamente valutati, la
violazione dell'art. 44, lett.c) del citato d.P.R. n. 380 del 2001>.
La sentenza, ancorché interessante, non pare applicabile alla fattispecie in esame stante la sua
esiguità. Certamente la posa stabile e continuata di strutture mobili quali camper e roulottes al fine
di soddisfare esigenze abitative non temporanee comporta la necessità del rilascio del permesso di
costruire ai sensi del combinato disposto degli articoli del D.P.R. 380/2001 sopra richiamati.
L’Amministrazione comunale valuterà, sulla base delle informazioni di cui dispone e degli
accertamenti che vorrà effettuare, se ricorrono le condizioni per l’applicazione delle sanzioni
previste dalla vigente normativa in materia di illeciti edilizi, fatto comunque salvo l’istituto
dell’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del D.P.R. 380/2001.
Paiono sussistere le condizioni per interloquire in termini propositivi con i cittadini “camperisti”,
rappresentando la possibilità di regolarizzazione della loro permanenza nel Comune, anche in
considerazione del fatto che il loro insediamento già insiste su di un terreno edificabile (si presume
a fini residenziali), per il quale dovrebbe essere corrisposta la relativa imposta comunale sugli
immobili.
Paradossalmente la ricerca normativa fornisce esiti di possibile integrazione anziché di
allontanamento di cittadini orientati verso pratiche di vita diverse dall’ordinario.
Il quesito non fornisce ulteriori elementi per valutare i reali motivi di “disordine e di intolleranza da
parte dei vicini”.
Si ritiene che tali comportamenti possano trovare previsione e composizione anche per via
sanzionatoria nel regolamento comunale di polizia locale, che dovrebbe avere le finalità di
promuovere l’ordinata e civile convivenza, garantire la sicurezza dei cittadini, tutelare il decoroso
svolgimento della vita cittadina, nonché disciplinare le attività e i comportamenti dei cittadini al
fine del buon andamento della comunità locale.
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